Train de vie

Train de Vie è un film del 1998 diretto da Radu Mihăileanu, che affronta in maniera ironica la Shoah. Siamo nel 1941 in uno shtetl, un insediamento ebraico dell’Europa dell’est. Gli abitanti del villaggio per sfuggire alla cattura nazista ideano un ingegnoso stratagemma che ha come obiettivo quello di arrivare in Palestina; costruiranno un treno di finti deportati per passare attraverso le terre della Germania.

Dopo i preparativi iniziali si formano le due fazioni, ossia i finti tedeschi e i finti deportati ed è qui che si mette in moto la vicenda. L’intero film gravita attorno ai concetti di ruolo e di identità, con vicende e dinamiche sempre più condizionate da questi due elementi. A causa della contingenza si formano delle classi sociali, delle differenze che prima non esistevano, prendono vita inoltre altri sottoschieramenti, come ad esempio nazisti/comunisti, privilegiati/non privilegiati. La comunità si scinde in diverse parti e diventerà sempre più complesso ritornare ad un’unità originaria.

Particolare attenzione merita il personaggio di Mordechai, che subirà una incredibile trasformazione, da mercante di mobili ad alto ufficiale nazista. Nel corso del viaggio assumerà un atteggiamento sempre più rigido e un modo di fare autoritario e impietoso. Significativa è la frase che il personaggio pronuncia “non è tedesco chi lo vuole, è tedesco chi lo merita…gente che ha fatto sacrifici per diventarlo“. Altro episodio peculiare è quello della messa, dove persiste l’identità fittizia acquisita a scapito dell’unità religiosa. Mordechai cerca, attraverso il bene comune e la promessa di raggiungimento dell’obiettivo finale, di giustificare e legittimare un’assunzione di ruolo che ormai si è spinta troppo oltre. Alla seconda stazione nazista si avrà l’apogeo dell’assunzione di questa nuova identità: la nuova divisa che viene cucita, quasi come se fosse una nuova pelle, dona una completa sicurezza e padronanza a Mordechai, che arriverà addirittura a prendersi gioco di un altro ufficiale nemico e aspetterà comodamente seduto che i soldati tedeschi finiscano il rifornimento del treno. Si arriverà verso la fine del film ad un’assimilazione completa, ad un’interiorizzazione del ruolo: dopo una dimensione collettiva la nuova identità si manifesta a livello interpersonale anche in privato, ad esempio nella scena dove Mordechai sul treno con il colonnello zingaro converserà in tedesco e arriverà a chiudere il discorso con il saluto nazista.

Anche altri personaggi verranno man mano condizionati da ideologie e fazioni con compromissioni a livello interpersonale e comunitario. Resa molto bene dal regista è la gradualità in cui questo processo di “corruzione” avviene; esattamente come nella realtà dove non c’è un’adesione immediata e totale, ma un lento e inesorabile scivolamento che piano piano fa diventare il personaggio esattamente come ciò che ha sempre affermato di detestare.

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