Il bambino cattivo è un film del 2013 diretto da Pupi Avati e realizzato da Rai Fiction. La storia vede Brando, un bambino di 11 anni che vive con i genitori nella sua nuova casa a Roma. I suoi genitori però, entrambi professori universitari, sono in conflitto da anni e il bambino si ritrova vittima di un sistema familiare deteriorato e compromesso. Fin dalle prime scene è manifesta l’elevata conflittualità tra i genitori di Brando, Michele e Flora. Vecchi rancori, accuse, offese e rinfacci sono gli elementi che caratterizzano i primi dialoghi del film. Il risentimento reciproco verso i rispettivi suoceri è elevato e, a causa della tensione, la madre ricorre all’alcol per lenire la sofferenza e l’ansia. Da questo momento la lite diviene ancora più accesa, lite che vede spettatori Brando e gli operai addetti al trasloco. C’è una totale inadeguatezza al contesto e una mancanza di autocontrollo e di dialogo, con un comportamento critico ed espulsivo da parte della madre e offensivo e denigrante da parte del padre. Michele e Flora sono due genitori incapaci di ricoprire il ruolo di genitori, impreparati a un’identità di figura accudente. Brando soffre molto a causa del conflitto tra i genitori e si attacca a quegli oggetti o abitudini familiari che erano presenti durante la sua infanzia (golf della madre, domande sul calcio) che virtualmente lo riportano a quel tempo in cui la famiglia era unita. Un aspetto interessante della casa in cui la famiglia vive è l’assenza di porte, o meglio, la presenza di porte a vetro che non permettono distinzioni e confini, ma tutto sembra mescolato e non nitido. Sembra essere la manifestazione fisica di quello che succede a livello familiare, non c’è una distinzione netta tra ruolo genitoriale e ruolo di figlio, ma una costante sovrapposizione e slittamento.
Brando vive in un clima di conflitto a casa e di inadeguatezza a scuola, la maestra appare come molto giudicante e i pari non lo accetteranno nel gruppo, arrivando addirittura a bullizzarlo. Il padre intraprende nel frattempo una relazione extraconiugale con Lilletta, madre di una compagna di classe di Brando e gli viene chiesto di essere complice e di accettare quel tradimento, il che mette il bambino fortemente a disagio. Flora, con un passato da alcolista, si rivela molto strumentale nei confronti del figlio, ad esempio cucinando leccornie, chiede a Brando di sbloccare il cellulare di Michele precedentemente sottrattogli. Anche qui Brando si sente a disagio definendosi tra sè e sè “traditore“, Prima Flora e successivamente Michele, fanno entrare il figlio in questioni di coppia che non gli appartengono, strumentalizzandolo per i propri scopi. Anche Michele ha un comportamento molto manipolatorio nei confronti del figlio: nella scena della cena con Lilletta e la figlia e successivamente proponendo l’accordo di consenso a vivere con la madre. Gesto molto subdolo e ingannevole da parte di Michele, che a causa del crescente disinteresse per il figlio, lo spinge indirettamente a scegliere la madre rendendolo libero di vivere la sua vita con l’amante e sciogliendolo dai suoi doveri di genitore.
I due genitori non riescono nè a gestire nè a contenere le loro difficoltà, essendo molto ripiegati su loro stessi e incapaci di vedere l’altro, di vedere il disperato bisogno e sofferenza di Brando. Dopo la scoperta di tradimento e l’episodio di violenza domestica, Flora tenta il suicidio con un’overdose di farmaci e alcol. Sarà Brando che riuscirà a salvare in extremis la vita della madre, che tuttavia riporterà danni cerebrali irreversibili e costretta ad una lunga ospedalizzazione. Il bambino vede quindi un improvviso allontanamento da parte della madre e un graduale disinteresse e distacco da parte del padre, che, totalmente assorbito dalla nuova relazione, gli dedicherà sempre meno tempo ed attenzioni. Brando inizia a tramutare la sofferenza in rabbia, in sfida all’autorità genitoriale, in apatia. Sofferenza che però sfoga solamente durante la notte quando sa di essere solo e lontano da sguardi altrui. Inizia a vedere le figure istituzionali come dei nemici che non desiderano altro che vederlo piangere. Comincia quell’esasperazione che si manifesta nel non rispetto delle regole e del comportamento molto provocatorio a scuola. Brando per sfogarsi inizia quasi a essere distruttivo, poichè qualsiasi azione porta in ogni caso ad un aggravamento della sua condizione.
Anche il titolo del film “Il bambino cattivo” sembra essere l’ennesima provocazione nei confronti di Brando, stravolto da numerose realtà non consone ad un bambino. Quasi che anche lo spettatore leggendo il titolo si debba prefigurare un bambino dai comportamenti oppositivi e inadeguati. Brando viene chiamato così durante la scena della madre in ospedale, quando dopo la fuga e gli sforzi per raggiungere Flora, ormai compromessa mentalmente e presumibilmente convinta a torto che Brando gradisse la relazione fra Michele e Lilletta, lo indica come “bambino cattivo” perché lo considera complice del padre e per farlo cacciare lo accusa di furto davanti a un infermiere. Per l’ennesima volta il bambino non è visto, ma motivi personali o situazionali spostano altrove l’attenzione del personaggio.
Nessuna figura all’interno del film riesce a vedere realmente Brando: nè i genitori e il resto della famiglia, nè le istituzioni, nè i pari e neppure quelle figure che hanno esattamente questo scopo, come l’assistente sociale e le educatrici della comunità. Solo un’educatrice riuscirà almeno parzialmente a capire la sua sofferenza e i suoi sentimenti, riuscendo a dare almeno in parte l’amore di una madre di cui Brando ha così bisogno. Resta però una figura marginale sia nella trama che nel cuore di Brando, che non colma assolutamente quel vuoto che il protagonista ha dentro di sè. Restando in tema di figure, nessuno ha voglia o è in grado di ricoprire il proprio ruolo, basti pensare alle figure dei nonni. Guardando alla nonna paterna, troviamo una donna che, nonostante l’enorme affetto che dimostra per Brando, non si rende conto di ciò di cui Brando ha veramente bisogno, ma vede il nipote semplicemente come un oggetto da proteggere. Per i nonni materni invece Brando è semplice merce di scambio per guerreggiare con Michele, non manifestando un autentico interesse o amore per il nipote. L’assistente sociale risulta essere una donna priva di empatia, molto giudicante e irrispettosa, preoccupata più che la situazione sia a norma di legge che di Brando. Anche le educatrici della Casa Famiglia si riveleranno inadeguate al loro ruolo, continuando a minacciare Brando di un inasprimento dello scenario giudiziario e di un sempre più complesso iter burocratico, minacce che si rivelano ben presto inefficaci. Inoltre l’enuresi che Brando sviluppa a causa del senso di abbandono e solitudine, che non è altro che la manifestazione del suo disagio interiore, viene immediatamente accantonata con la soluzione del pannolino. Questa soluzione proposta si rivelerà nient’altro che dannosa, diventando motivo di scherno e di umiliazione da parte degli altri bambini della comunità.
Brando continua a soffrire e a sentirsi solo, dolore che non fa che aumentare la distanza con il mondo e con gli altri; nemmeno l’incontro con Stefano e Laura, giovane coppia che vorrebbe adottarlo, è in grado di raggiungere il cuore del bambino. Vi è una grande sofferenza da entrambe le parti che connette Brando e la coppia che vorrebbe adottare, da una parte la sofferenza dovuta all’abbandono e dall’altra la tragedia della morte di un figlio. Stefano è un brav’uomo, pratico e gentile, Laura è una donna sofferente e molto ansiosa, sempre allerta al giudizio degli altri. Brando, nonostante la gentilezza e l’amore che la coppia offre fin da subito, resta totalmente indifferente e incapace di sentire l’emozione dell’altro. Anche il discorso di rinuncia di Stefano non riesce ad avere efficacia, ormai il bambino sembra anestetizzato alle emozioni. Allenato a venir sempre meno a contatto con la sfera emotiva, con la conseguenza si di percepire meno dolore ma anche di non riuscire più a vedere la sofferenza dell’altro. Si crea una dinamica curiosa tra Brando e la coppia, in cui il protagonista diviene esaminatore e Stefano e Laura gli esaminati. È il bambino a decretare l’esito positivo o negativo dell’incontro e l’adeguatezza genitoriale della coppia, gli incontri non diventano occasione per un cambiamento ma sembrano sterili prove di esame che non portano a nulla in ogni caso.
L’incontro dopo molto tempo con il padre diventa la chiave di volta per Brando, la rottura definitiva dell’illusione di tornare a casa e la consapevolezza del rapporto con il padre diventano per il bambino spinta per il cambiamento. Il disinteresse di Michele è lampante e la notizia di un fratellino (dato dall’unione tra Michele e Lilletta) decreta la fine del rapporto. Brando capisce di essere stato sostituito, avverte di essere stato un fallimento e quindi rimpiazzato, conferma ultima sarà sapere il sesso del bambino, quando Michele con grande contentezza gli comunicherà che sarà maschio. Brando continua a non trovare il suo collocamento come figlio: da un iniziale mescolanza di ruoli familiari e noncuranza, a essere il sostituto del figlio morto di Stefano e Laura, a essere rimpiazzato con il fratellastro. L’ingresso di un nuovo figlio simboleggia il nuovo tentativo di essere padre per Michele, che vede in Brando un tentativo fallito.
Brando quindi ricontatta Stefano e Laura e decide di dare e di darsi una possibilità, spinto anche però dalla paura e dalla consapevolezza di non aver più nessuno e quindi si aggrappa all’unica cosa che gli è rimasta, una possibilità appunto. Nel “contratto” che Brando redige vi sono minuzie e capricci di un bambino ma anche la regola ferrea di non dover chiamare la coppia mamma e papà e sopratutto che non gli venga appiccicata addosso l’etichetta di sostituto del figlio defunto, Brando è Brando, non è Emiliano “Non voglio più sentire quel nome, va bene?“. Nella scena finale si intuisce un salto temporale e si vede un Brando ormai integrato nel nuovo sistema familiare che riuscirà anche ad aderire alle tradizioni della nuova famiglia. Dopo i primi tentennamenti indossa la maglia del suo calciatore preferito e si unisce alla partita. Il protagonista riesce finalmente a ritrovare la serenità e ad integrarsi in tutti gli ambiti: famiglia, scuola e gruppo dei pari. Riesce a superare la sofferenza e ad andare oltre, permettendo di nuovo all’amore di avere spazio nella sua vita e in quella di Stefano e Laura.