E se vivessimo tutti insieme? è un film del 2011 scritto e diretto da Stéphane Robelin. La storia vede cinque amici di lunga data, due coppie ed un single, tutti oltre la settantina che, nonostante la presenza di diverse patologie, vogliono evitare di finire in un ospizio e insieme decidono di trasferirsi tutti a casa di Annie. Ai cinque anziani si aggrega un giovane ragazzo tedesco, Dirk, studente di etnologia, che viene invitato ad aggiungersi al gruppo per poterlo studiare meglio. L’anzianità in questo film viene mostrata attraverso differenti sfaccettature: Claude, esuberante anziano ancora pervaso da passioni ardenti e innamorato delle donne e del sesso; Jean, uomo più cauto e scorbutico, con una visione di vita basata sul collettivismo e dedito alle cause sociali; Albert, individuo scontroso e diffidente, affetto da gravi problemi di memoria, probabilmente ascrivibili ad un grave deterioramento cognitivo o demenza senile, che annota gli avvenimenti più importanti sul suo diario; Annie, donna riservata e con un’emotività repressa; Jeanne, anziana estroversa e molto lucida che cercherà un contatto quasi materno con Dirk. Entrambe le donne, mogli rispettivamente di Jean e Albert, hanno avuto una relazione extraconiugale con Claude.
Nel film vengono osservate, anche attraverso l’escamotage del personaggio di Dirk, la vita dell’anziano, le relazioni e le dinamiche che si verificano durante una modalità abbastanza singolare come può essere quella della convivenza tra anziani. Si vuole far luce su una categoria sociale a volte messa un po’ da parte, sia dalla società e anche un po’ dall’immaginario collettivo e trattare ad esempio di un tema classificabile come tabù, ossia la sessualità dell’anziano. È pensiero comune concepire la sessualità come una sfera esclusiva dell’adulto, assente sia in un’età infantile/adolescenziale poiché non ancora emersa sia in un’età avanzata reputandola ormai assopita e inesistente. Uno dei temi attorno a cui girerà il film è proprio la sessualità in questa fascia d’età. Claude darà vita a delle scene comiche e dei siparietti aventi come cardine il sesso appunto. Anche Jeanne tratterà dell’argomento con Dirk a più riprese, destando in lui notevole imbarazzo. I due avranno durante la vicenda un rapporto quasi di madre e figlio, sviluppando un legame sempre più forte. Molto tenera sarà il bisogno e il desiderio di un affetto autentico e disinteressato: Jeanne ha provato sia un amore passionale sia l’amore di un matrimonio, ma nei giorni prima di morire cercava solo la vicinanza di un altro essere umano o forse di un figlio.
Una riflessione che può nascere dalla scena finale del film è quella della dignità dell’uomo in riferimento alla sua memoria. Sono i ricordi, la nostra storia a donarci un’identità e una struttura. La patologia di Albert è arrivata a privarlo del ricordo della moglie da poco deceduta e della sofferenza per il lutto. Siamo quello che abbiamo vissuto, i legami che abbiamo intrecciato con le altre persone, ciò che abbiamo costruito e ciò che lasceremo a coloro che verranno dopo di noi. Essere privati della memoria e del nostro passato equivale anche parzialmente ad essere privati della nostra dignità di esseri umani. Nel lasciare una traccia nell’altro risiede la nostra immortalità, nel ricordo e nell’emozione che riusciamo a trasmettere in un altro essere umano, lì risiede il nostro valore.