C’è ancora domani è un film del 2023 scritto, diretto e interpretato da Paola Cortellesi, alla sua prima esperienza come regista. Suggerisco la visione di questa pellicola a chi vuole approfondire il tema della legittimazione personale, del giudizio e di alcune dinamiche familiari del quotidiano.
Roma, maggio 1946. La città è divisa, come il resto d’Italia, tra la povertà e la distruzione lasciata dalla seconda guerra mondiale, i soldati Alleati per le strade e la grande voglia di cambiamento; alle porte il referendum istituzionale e l’elezione dell’Assemblea Costituente del 2 e 3 giugno.
Delia (Paola Cortellesi) vive un matrimonio in cui la svalutazione, l’instillamento del senso di colpa e la violenza domestica fanno da sovrani. Vengono sottolineati gli aspetti negativi e sminuiti o addirittura ignorati quelli positivi. Non c’è equilibrio nella coppia, è la moglie che dà attenzioni al marito (Valerio Mastandrea) e mai il contrario, un marito concentrato unicamente su se stesso e sui suoi bisogni.
Uno dei temi centrali del film è quello della svalutazione dell’altro e del femminile. Delia subisce proprio questo da parte del marito e della figlia. La svalutazione è connessa al senso di colpa e alla rabbia nel caso di Marcella e al bisogno di prevaricare nel caso del marito Ivano, proprio perché ci si è sentiti prevaricati e non visti, ora si schiaccia l’altro per imporre se stessi. Anche nella dimensione religiosa c’è la svalutazione verso il femminile, la bestemmia sembra essere meno grave quando rivolta alla Madonna. Altro tema centrale è quello del giudizio. È fondamentale ostentare le cose che possono elevare la propria condizione sociale e nascondere invece quelle sconvenienti. È un giudizio che però arriva molto dissonante, si vedano ad esempio gli episodi di violenza domestica nei quali vengono chiuse porte e finestre ma viene udito distintamente il rumore delle percosse e le grida oppure la grande attenzione alla forma e alla presentabilità tralasciando poi la scurrilità dei figli alla presenza di ospiti. Eventi drammatici come la morte di un familiare vengono vissuti senza affetto, nei quali ognuno pensa a sé, al proprio dolore e al proprio tornaconto. Lo stare insieme è più per convenzione che per affetto. Anche il momento della veglia funebre ad esempio si traduce in un evento di facciata: si veda l’anziana signora ripiegata su vuote litanie, il pensiero dei bambini esclusivamente rivolto ai dolci, le lacrime di Marcella dovute a Giulio e non al defunto nonno, Delia e la sua amica totalmente altrove con il pensiero. L’unico che sembra soffrire è il padre ma arriva anche lì una sofferenza molto forzata. Tutto questo fa sperimentare un non autentico essere nella situazione.
Particolare la dimensione dell’aiuto, nello specifico rispetto al soldato americano, dato in modo irruento a tratti che provoca nella protagonista la fuga, un aiuto che stravolgerebbe troppo la situazione e gli equilibri. Modalità troppo forte che si ritrova anche nell’idea di denunciare il marito per violenza domestica, qualcosa però di troppo distante da Delia: sarebbe inconcepibile per lei, non è il modo che sente suo per venire fuori dal problema.
In questa pellicola non è presente un’autentica comunicazione tra mondo maschile e femminile, ogni fronte denigra l’altro, c’è svalutazione e superficialità da entrambe le parti. I personaggi maschili sono quasi tutti piatti e insipidi, si pensi ai due figli della protagonista che non hanno una crescita o un’importanza durante tutto l’arco della vicenda, alle varie comparse, al marito dell’amica di Delia ecc… Ci sono però delle figure maschili positive, si veda il soldato americano, l’anziano della famiglia borghese e Nino. Sono quelle figure in grado di vedere e riconoscere il femminile, coloro che concepiscono parità e uguaglianza nel rapporto.
Leitmotiv del film è quello dell’esserci per l’altro mettendo da parti se stessi. Tutta la vicenda è giocata su estremi come quello della delicatezza e della violenza, quello della sofferenza interiore e della tranquillità esteriore nella routine oppure durante gli episodi di violenza domestica quello della danza e delle percosse. La dimensione relazionale con il meccanico Nino è l’unica parentesi che fa sentire vivi, dove si può essere autenticamente se stessi spogliandosi di qualsiasi ruolo; dimensione però nascosta, non legittimata, in primis dalla protagonista. Inconcepibile allontanarsi dagli affetti ed essere egoisti allora si opta per rimanere nel sistema dedicandosi esclusivamente all’altro, mettendo però da parte se stessi. La non legittimazione proveniente dall’esterno nel tempo diventa un qualcosa anche di interno. Le cose cambiano quando la protagonista inizia a legittimare alcune parti di sé, quando comincia a prendere il proprio spazio personale all’interno di un sistema che avverte come schiacciante.
La relazione di Marcella è simbolo di quelle relazioni legate da un grande affetto e attenzioni date nelle fasi iniziali ma che poi scivolano nel possesso, Delia vede il ripetersi della sua stessa storia. Al tentativo di mettere in guardia la figlia, quest’ultima recriminerà alla madre le sue colpe e le sue mancanze. Paola Cortellesi comunica in modo sapiente il messaggio che si tende a riproporre dinamiche familiari, anche inconsapevolmente.
In un clima di verticalità nel quale non vi è comunicazione, la menzogna è l’unico modo per ritagliarsi quello spazio personale che non è legittimato dall’altro. In prima battuta autolegittimarsi può destare spavento e il pensiero di danneggiare l’altro. Si intuisce però che questo potrebbe portare ad un cambiamento, qualcosa di ancor più terrificante rispetto ad una situazione sì negativa, ma almeno nota.
Ivano, marito all’apparenza forte e sicuro di sé, è in verità un figlio succube del proprio padre, al quale qualsiasi cosa viene permessa e giustificata. Anche all’interno dello stesso maschile c’è verticalità, la sottomissione verso un maschio ancora più forte, dimensione sociale che entra anche in quella familiare. Padre e figlio sono figure simili in quanto entrambi instillano il senso di colpa, si accaparrano meriti che non hanno e convincono l’altro del loro essere necessari.
Delia sperimenta l’esplorazione verso la fine della vicenda, un’individualità quasi dal carattere selvaggio, irruento. Delia dopo aver votato verrà da scappare ma ormai consapevole dei primi passi effettuati verso una auto legittimazione si fermerà consapevole della sua forza e della sua dignità come donna e come individuo. Interessante vedere come la propria legittimazione agli occhi dell’altro generi un miglioramento stesso del legame, si veda quello tra Delia e Marcella nel quale la figlia vede finalmente la propria madre darsi un valore e avviene un autentico avvicinamento tra le due. Il cambiamento in noi stessi genera cambiamenti nell’altro.